Venti stazioni
VENTI STAZIONI
a cura di Fernando Noris
Biblioteca Centro Cultura - Nembro
dal 30 aprile al 30 maggio 2021
Inaugurazione venerdì 30 aprile - su invito
Viveka Assembergs, Franco Binachetti, Maurizio Bonfanti, Italo Chiodi, Paolo Finazzi, Marco Grimaldi, Antonio Mangone, Francesco ParimbelliI, Roberto Rampinelli, Marco Rossi, Sergio Battarola, Elio Bianco, Audelio Carrara, Paolo Facchinetti, Shiva Foresti, Giulio Locatelli, Camilla Marinoni,
Valentina Persico, Ugo Riva, Raffaele Sicignano
Assenza, più acuta presenza.
Vago pensiero di te
vaghi ricordi
turbano l’ora calma
e il dolce sole.
Dolente il petto
ti porta,
come una pietra
leggera.
Attilio Bertolucci (1911 – 2000)
Il progetto espositivo, promosso dal Comune di Nembro in prossimità della prima giornata nazionale dedicata alla memoria delle vittime del Covid (si è ricordata il 18 marzo) intende consegnare alla Comunità nembrese, e non solo, una testimonianza visiva, prodotta a più mani, sull’affollamento di pensieri ereditati dallo sconvolgente anno bisestile 2020 e, ancora, obbligati a nuove formulazioni dal pervicace protrarsi dell’anno in corso.
VENTI, come quelli di bufera, che hanno sconvolto anime e corpi della Valle Seriana; VENTI come gli artisti convocati a riflettere su questa tragica contingenza. STAZIONI come luoghi di sosta e di attesa, di ricovero e di speranza. Di partenze e di pause, di addii e di arrivi. Di saluti, di assenze. PER NEMBRO, città simbolo e patria martoriata di un patimento storico senza precedenti.
Il tempo dell’attesa. Una Stazione L’iniziativa non intende porsi come cronaca artistica, o come celebrazione postuma, o come esibizione di facile retorica. Vuole proporre uno sguardo-oltre, come appunto l’arte usa spesso fare, in grado di orientare presente e futuro, alla luce della infinita ATTESA passata che ci è toccato vivere. Attraverso il racconto di VENTI / STAZIONI, ricreate da opere di altrettanti artisti, si potrà ricostruire qualcosa della sospesa condizione di chi ha vissuto, e vive, la situazione di attendere altro, mentre pur si trova impegnato a cercare di dare senso a un ineludibile presente. Attendere che i venti si placassero e consentissero respiro e quiete, invece che continuare a farsi sentire, sibilando, nel loro scorrere tra case e corsie. La mostra propone, nel suo allestimento presso la Biblioteca di Nembro, il racconto simbolico e analogico, in 20 canti, dell’inconsueto vivere in una stazione: affollata, umana, quotidiana. Un luogo di passaggio, a volte scelto a volte imposto dal caso, nel quale quasi sempre la solitudine, anche in mezzo a moltitudini, è rimasta l’unica compagna di viaggi attesi o temuti. In una stazione si attende di partire e di tornare; si affrontano imprevisti e ritardi; si scopre la relatività del tempo, con attese infinite e accelerazioni improvvise; si vivono sorprese e delusioni, lacerazioni di addii e ricongiungimenti felici; si pensa, si guarda, si commenta, si giudica; si è osservati, si è giudicati; ci si saluta in attesa di un ritorno; ci si saluta per sempre; ci si scopre cortesi o insofferenti, disponibili o impazienti; si spera di cancellare ricordi per viaggi tristi o di rinnovare la sorpresa di attesi appuntamenti; si sosta avvolti nei rumori di fondo degli annunci, delle disdette, delle inutili pubblicità, dei cambi di binario. Ci si augura, comunque e sempre, di poter tornare quanto prima alla normalità di una casa. Della propria casa. Pur portandosi dietro, e dentro, come incubi di ritorno, gli indimenticabili fiumi di parole, di rumori, di luci, di incontri, da questi non sempre scelti luoghi di attesa.
Un uniforme supporto comune a tutte le opere: un lenzuolo
Sottesa al titolo, viene evocata dalle venti stazioni, la memoria di una più lunga Via Crucis, anche se non è stato questo implicito richiamo prettamente liturgico a sollecitare la realizzazione delle opere proposte per Nembro, pur non potendo, per sua stessa forza intrinseca, rimanere argomento escluso da un sottofondo di possibile coinvolgimento sacro. Della sacralità laica e dura che unisce la vita con la morte.
Altro elemento, che si è costituito come oggetto fondamentale della esposizione nembrese, è il supporto su cui gli artisti hanno elaborato la propria visione: ventilenzuola, messe munificamente a disposizione da fornitori degli ospedali. Emblemi di un sudario, sostegno di vite sofferte e testimone di attese e passaggi infiniti. E di troppi addii. Il bianco di un sudario a dialogare con le forme dell’arte.
Appese in senso verticale, fluttuanti al passaggio dei visitatori, le lenzuola, esposte secondo un ritmo sinottico, appaiono come la moltiplicata sequenza di una sindonecollettiva, dentro cui specchiare una umanità disorientata.
IMPRONTE di presenze vulnerate e smarrite, o, nel caso di una sorte più benigna, liberate e risorte.
Ognuno degli artisti ha trattato il supporto assegnato secondo i criteri della propria poetica, delegando il lenzuolo a divenire un vasto campo di silenzi, o pergamena di indecifrati codici, o matericamente, residuo accartocciato come un capo d’abito abbandonato e dismesso. Qualcosa di perso, di smarrito, qualcosa che sopravvive nell’intrecciarsi di pieghe, come l’incavo forse della sagoma di un corpo.
Nel corso del catalogo, ogni artista è stato invitato ad accompagnare la riproduzione del proprio lavoro, con la scelta di un particolare-chiave e di una didascalia allargata, non per orientare il non detto, ma per condividere, con la bellezza della parola, i molti silenzi necessari all’ascolto.
I segni che hanno resi “opera” le venti lenzuola hanno occupato trama e ordito del tessuto come righi di uno spartito a più voci: voci ora acute, ora lievi, ora concitate, ora piane. Colonna visiva e sonora delle sirene sulle strade, dell’accavallarsi degli allarmi, della concitazione organizzativa, dalla pacatezza di rassegnazioni silenti, mainconsolabili. Il bianco di base del tessuto ha concesso a tutti gli artisti la più ampia libertà creativa, compositiva e cromatica, sfidandoli a cogliere il panico della paginavuota, già di per sé segno delle assenze che essi sarebbero stati chiamati a evocare. Pagina piuttosto vasta da percorrere con i suoi 200 centimetri di altezza e 125 di larghezza.
Non è la prima volta che nella storia dell’arte questo oggetto domestico, il lenzuolo, viene utilizzato per raccontare di nascite e di morti, di riposo e di quiete, di tormenti e di gioie. Senza andare troppo lontano, il bergamasco acquisito Gianfranco Ferroni è stato tra i molti ad evocare, nelle sue silenti opere, impronte in chiaroscuro, impronte tra le pieghe di lenzuola abbandonate nella luce metafisica di ricordi svaniti e, insieme, tattilmente, presenti.
E non è nemmeno la prima volta che lenzuola vengono ad assumere la rilevanza sociale di testimonianze esposte alle case, per invocare pace e giustizia, per richiamare rispetto nei confronti del Creato, per solidarizzare con campagne di difesa di diritti umani.
Per una Deposizione permanente La scelta di avvalersi della presenza scenica di un sudario, nella storia dell’arte, rivela che la più alta, quella che più ha coinvolto gli artisti di ogni tempo, nella sua nuda verità, è stata la scena della Deposizione di Cristo, prototipo di tutte le Sindoni del mondo. Messa in campo secondo ricostruzioni iconografiche di grande effetto, questarappresentazione replica archetipi narrativi consolidati: il corpo morto, il pianto della madre, il corteo delle donne, lo sforzo dei portantini, qualche comparsa impietrita e muta, l’affaccio sul sepolcro spalancato, e, in lontananza, le croci sul Calvario. Tutte queste componenti si sono sempre sottratte alla discrezionalità e al consumo del tempo, essendosi affermate come archetipi universali, perché destinate a replicarsi in ogni epoca, in presenza di ogni flagello che la storia ha voluto trascinare con sé. Figli, madri, padri, congiunti. Vegliardi e anziani il più delle volte, ad affollare deposizioni silenziose, memorie testimoniali del rinnovarsi di un passato destinato a ripresentarsi. A fare memoria di queste epoche, che purtroppo si sono ribaltate addosso al nostro tempo e hanno colpito di recente l’intero nostro Paese e, segnatamente, la città di Nembro, stanno i molti luoghi di culto popolari, che punteggiano il territorio della cittadina seriana, molti dei quali connessi con il ricordo di pestilenze storiche, e divenute snodi culturali di dedicazioni, di devozioni, di aspirazioni, di speranze. Una mostra di VENTI ARTISTI contemporanei é solo una marginale presenza che si affaccia sulla grande Storia. Costituisce soltanto un momento di sosta per provare ad accompagnare il presente, ma soprattutto per guardare avanti, come hanno fatto gli italiani e i nembresi dei secoli andati. Che hanno patito, sono stati provati dai vari morbi, ma hanno saputo dare visibilità alle proprie sofferenze, costruendo e praticando STAZIONI di ASCOLTO, nelle loro case e nei luoghi di incontro dove lasciar decantare, e superare, nel cuore delle loro Comunità, gli insulti del tempo.
Venti stazioni
Dal 30 aprile al 30 maggio 2021
Orari di apertura: da lunedì a venerdì dalle ore 9.00 alle 12.30 e dalle 14 alle 19
Sabato e domenica: chiuso
Biblioteca Centro Cultura, piazza Italia Nembro - BG
Tel. 035-471370
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